(il mio articolo di oggi su "Il Riformista")
di Antonello Guerrera
È stata inserita nella prestigiosa cernita letteraria "Editor's Pick" del New York Times. È il simbolo di una nuova generazione di iraniani trapiantata in America che rompe le secolari tradizioni d'origine. E il suo romanzo d'esordio Figli e altri oggetti infiammabili, così venerato dalla critica a stelle e strisce, è finalmente giunto in Italia. Da domani sarà in vendita in tutte le librerie per Bompiani (pagg. 424, euro 19), così l'autrice Porochista Khakpour ha concesso al Riformista un'intervista per battezzare l'evento in un albergo romano. E, ovviamente, lei, avvolta da una gonnellina fucsia e una calzamaglia lacerata geometricamente, non rappresenta lo stereotipo della donna iraniana. Il suo Figli e altri oggetti infiammabili è il racconto di una famiglia scappata da Teheran in concomitanza con la Rivoluzione del '79 e trapiantata in California. Con tutte le difficoltà del caso, vedi i contrasti tra nuove e vecchie generazioni, l'emancipazione di donne e gay e il clima post 11/9.
Ma come mai un titolo del genere? I figli sono infiammabili?
Oh, no! A dir la verità non è il titolo che avevo scelto io, bensì il mio editore americano (Grove/Atlantic, ndr), anche se «sons» (figli) era per me fondamentale. Ma io con l'infiammabile mi riferivo ad altro, come alle colombe bruciate nel libro dal padre Adam in Iran, non voglio mettere al rogo i bambini. È stato un po' un equivoco che cozza con il senso ironico, anzi tragicomico del libro. Tra l'altro la traduttrice Licia Vighi mi ha detto che nella vostra lingua «figli» comprende, a differenza di «sons», anche le donne. Ma i protagonisti del libro sono il padre Adam e il figlio Xerxes e su questo spigoloso rapporto maschile si basa tutto il romanzo.
A questo proposito, l'opera mi appare di grande impatto autobiografico. Anche lei è fuggita da Teheran da bambina per la California.
Esatto. E dirò di più. Sono cresciuta con un padre che mi ha trattato come un maschietto sino a poco tempo fa. E forse sono cresciuta troppo in fretta, dal momento che i figli degli immigrati iraniani diventano improvvisamente i capifamiglia all'estero. I miei genitori sembravano quasi allucinati di fronte alla nuova realtà, inermi, reclusi. Ed eravamo noi figli ad essere il link con l'esterno, a presentare le nostre famiglie agli americani. In questo modo, il rapporto con mio padre era di grande competizione (come tra Xerxes e il genitore Adam nel libro), tanto che capitava a tavola che quasi ci prendevamo a pugni.
Come consideri i tuoi connazionali immigrati in America? E cosa è cambiato con l'11/9?
Ho una pessima considerazione di loro. Generalmente la comunità iraniana negli Usa è benestante, repubblicana, non sa nulla dell'Islam e sostiene l'invasione degli Stati Uniti a Teheran. Quando ero adolescente andavamo da Pasadena a Teherangeles (una sorta di Londonistan iraniana, ndr) e vedevo la maggior parte dei miei connazionali ricoperta di bracciali e collanoni d'oro, sfoggiando Mercedes e Bmw, capelli tinti o mesciati. Tutti in preda ad uno sfrenato materialismo, troppo assimilati alla cultura di Los Angeles. E anche le ragazze non erano da meno. Ho avuto difficoltà a stringere amicizia con coetanee di altra nazionalità, ma mai quanto con quelle del mio paese. Dopo il crollo delle Torri Gemelle, ad ogni modo, non è cambiata più di tanto la concezione degli americani nei confronti degli iraniani. Diciamo che i sentimenti più negativi erano rivolti ai mediorientali, non a noi.
Ogni giorno arrivano dall'Iran di Ahmadinejad notizie inquietanti, dalle libertà civili sino al nucleare. In questo scenario negativo, secondo lei qual è la cosa più bella dell'Iran oggi?
Internet. La rete ha salvato i giovani, creando un immenso movimento underground. Come accadde in quella del '79, dai giovani potrebbe presto partire un'altra Rivoluzione culturale. Comunico con tantissimi ragazzi iraniani su internet, i blogger e social network sono attivissimi, gli adolescenti, nonostante tutti i tentativi del Governo per bloccare il movimento, riescono a scambiarsi opinioni e crescere assieme, sono scaltri, acculturati, possono davvero cambiare il mondo. E in questo calderone giovanile c'è una grandissima presenza femminile, ovvia perché, come in pochi sanno, in Iran la maggioranza degli iscritti all'università sono donne. E in loro ho moltissima fiducia, sanno risolvere i problemi più degli uomini.
Tra poche settimane nel suo paese d'origine vi saranno le elezioni nazionali, come vede la situazione?
Sono molto ottimista, anzi, per dirla meglio, realisticamente ottimista. Io penso che i riformisti possano vincere e ho molta fiducia in Khatami (anche se non è il massimo per me) e nel processo per una normalizzazione della vita politica e sociale in Iran. Veniamo da un ciclo terribile, da una coppia di stronzi come Ahmadinejad e Bush che ha messo a repentaglio la pace mondiale. Certo il sistema alla base rimarrà quello e ci vorrà tempo per un cambio radicale. Ma, ripeto, sono realisticamente ottimista. E non bisogna essere frenetici del cambiamento come sta avvenendo negli Usa con Obama. Gli americani pensavano che il neopresidente avesse la bacchetta magica e che tutti i problemi si sarebbero risolti in qualche settimana.
A proposito, pensa che il dialogo tra Usa e Iran sia possibile con la nuova Amministrazione, dopo che McCain durante la campagna presidenziale ha intonato «Bomb, bomb, bomb Iran» sul ritornello dei Beach Boys e il Segretario Clinton da par suo ha minacciato di cancellare l'Iran dalla faccia della Terra qualora attaccasse Israele?
Sugli ultimi due è meglio che non mi esprima. Rimanendo al presente, amo Obama e credo moltissimo in lui. Raramente ha il vizio dei presidenti americani, ossia fare un po' il bullo nei confronti di chi non si attiene alla linea politica degli Stati Uniti. Ma la grande differenza con i predecessori è che Obama è un presidente istruito e conosce il mondo meglio di tanti altri. Certo, ha fatto un bel passo con il recente messaggio di auguri per il Nowruz iraniano, ma in un solo mandato non ce la farà a ricucire con l'Iran, anche perché la crisi economica ha preso il sopravvento dell'agenda. Ma in otto anni sarà possibile. Per il futuro della politica americana il mio più grande incubo, comunque, è Sarah Palin, il maiale col rossetto. Mi sembra quasi un cavaliere dell'Apocalisse, un Anticristo. Con lei la società americana potrebbe essere ancora peggio di quella attuale, dove i valori cristiani sono asfissianti quasi quanto quelli con la Rivoluzione in Iran.
Pensa di tornare in Iran, dopo la fuga da bambina?
No, non credo, almeno non adesso. Non ci sono le condizioni ideali per farlo, anche se la mia famiglia non credo sia così invisa al Governo attuale. Mio padre ogni tanto si lascia scappare «gloria all'Iran» e «Ahmadinejad non è così male», addirittura lo zio di mia madre è Akbar Etemad, padre del nucleare iraniano degli anni 70.
E come giudica la letteratura iraniana negli States?
Il problema dell'editoria americana è che tende costantemente ad un'orientalizzazione del prodotto letterario, puntando sull'esotismo per far breccia nel lettore Usa - cosa che per me è spazzatura. Di iraniane, però, mi piace molto la Satrapi: il suo Persepolis ha introdotto magnificamente e per la prima volta l'Iran al mondo. Mentre Leggere Lolita a Teheran della Nafisi è, secondo me, sopravvalutato.
L'intervista è finita ed è ora di pranzo. La Khakpour si alza e dichiara di esser rimasta esterrefatta dalle abbondanti porzioni dei piatti dei nostri ristoranti: «mai visto nulla di simile a New York (dove ora vive, ndr)». E poi, le sue considerazioni cadono su un certo costume italiano: «Ieri ho acceso la vostra Tv, mio Dio! C'era tutta una serie di ragazze in costumi grossolani (veline ed affini, ndr), ero imbarazzata e scioccata!».
da Il Riformista, 31/03/2009
Ma come mai un titolo del genere? I figli sono infiammabili?
Oh, no! A dir la verità non è il titolo che avevo scelto io, bensì il mio editore americano (Grove/Atlantic, ndr), anche se «sons» (figli) era per me fondamentale. Ma io con l'infiammabile mi riferivo ad altro, come alle colombe bruciate nel libro dal padre Adam in Iran, non voglio mettere al rogo i bambini. È stato un po' un equivoco che cozza con il senso ironico, anzi tragicomico del libro. Tra l'altro la traduttrice Licia Vighi mi ha detto che nella vostra lingua «figli» comprende, a differenza di «sons», anche le donne. Ma i protagonisti del libro sono il padre Adam e il figlio Xerxes e su questo spigoloso rapporto maschile si basa tutto il romanzo.
A questo proposito, l'opera mi appare di grande impatto autobiografico. Anche lei è fuggita da Teheran da bambina per la California.
Esatto. E dirò di più. Sono cresciuta con un padre che mi ha trattato come un maschietto sino a poco tempo fa. E forse sono cresciuta troppo in fretta, dal momento che i figli degli immigrati iraniani diventano improvvisamente i capifamiglia all'estero. I miei genitori sembravano quasi allucinati di fronte alla nuova realtà, inermi, reclusi. Ed eravamo noi figli ad essere il link con l'esterno, a presentare le nostre famiglie agli americani. In questo modo, il rapporto con mio padre era di grande competizione (come tra Xerxes e il genitore Adam nel libro), tanto che capitava a tavola che quasi ci prendevamo a pugni.
Come consideri i tuoi connazionali immigrati in America? E cosa è cambiato con l'11/9?
Ho una pessima considerazione di loro. Generalmente la comunità iraniana negli Usa è benestante, repubblicana, non sa nulla dell'Islam e sostiene l'invasione degli Stati Uniti a Teheran. Quando ero adolescente andavamo da Pasadena a Teherangeles (una sorta di Londonistan iraniana, ndr) e vedevo la maggior parte dei miei connazionali ricoperta di bracciali e collanoni d'oro, sfoggiando Mercedes e Bmw, capelli tinti o mesciati. Tutti in preda ad uno sfrenato materialismo, troppo assimilati alla cultura di Los Angeles. E anche le ragazze non erano da meno. Ho avuto difficoltà a stringere amicizia con coetanee di altra nazionalità, ma mai quanto con quelle del mio paese. Dopo il crollo delle Torri Gemelle, ad ogni modo, non è cambiata più di tanto la concezione degli americani nei confronti degli iraniani. Diciamo che i sentimenti più negativi erano rivolti ai mediorientali, non a noi.
Ogni giorno arrivano dall'Iran di Ahmadinejad notizie inquietanti, dalle libertà civili sino al nucleare. In questo scenario negativo, secondo lei qual è la cosa più bella dell'Iran oggi?
Internet. La rete ha salvato i giovani, creando un immenso movimento underground. Come accadde in quella del '79, dai giovani potrebbe presto partire un'altra Rivoluzione culturale. Comunico con tantissimi ragazzi iraniani su internet, i blogger e social network sono attivissimi, gli adolescenti, nonostante tutti i tentativi del Governo per bloccare il movimento, riescono a scambiarsi opinioni e crescere assieme, sono scaltri, acculturati, possono davvero cambiare il mondo. E in questo calderone giovanile c'è una grandissima presenza femminile, ovvia perché, come in pochi sanno, in Iran la maggioranza degli iscritti all'università sono donne. E in loro ho moltissima fiducia, sanno risolvere i problemi più degli uomini.
Tra poche settimane nel suo paese d'origine vi saranno le elezioni nazionali, come vede la situazione?
Sono molto ottimista, anzi, per dirla meglio, realisticamente ottimista. Io penso che i riformisti possano vincere e ho molta fiducia in Khatami (anche se non è il massimo per me) e nel processo per una normalizzazione della vita politica e sociale in Iran. Veniamo da un ciclo terribile, da una coppia di stronzi come Ahmadinejad e Bush che ha messo a repentaglio la pace mondiale. Certo il sistema alla base rimarrà quello e ci vorrà tempo per un cambio radicale. Ma, ripeto, sono realisticamente ottimista. E non bisogna essere frenetici del cambiamento come sta avvenendo negli Usa con Obama. Gli americani pensavano che il neopresidente avesse la bacchetta magica e che tutti i problemi si sarebbero risolti in qualche settimana.
A proposito, pensa che il dialogo tra Usa e Iran sia possibile con la nuova Amministrazione, dopo che McCain durante la campagna presidenziale ha intonato «Bomb, bomb, bomb Iran» sul ritornello dei Beach Boys e il Segretario Clinton da par suo ha minacciato di cancellare l'Iran dalla faccia della Terra qualora attaccasse Israele?
Sugli ultimi due è meglio che non mi esprima. Rimanendo al presente, amo Obama e credo moltissimo in lui. Raramente ha il vizio dei presidenti americani, ossia fare un po' il bullo nei confronti di chi non si attiene alla linea politica degli Stati Uniti. Ma la grande differenza con i predecessori è che Obama è un presidente istruito e conosce il mondo meglio di tanti altri. Certo, ha fatto un bel passo con il recente messaggio di auguri per il Nowruz iraniano, ma in un solo mandato non ce la farà a ricucire con l'Iran, anche perché la crisi economica ha preso il sopravvento dell'agenda. Ma in otto anni sarà possibile. Per il futuro della politica americana il mio più grande incubo, comunque, è Sarah Palin, il maiale col rossetto. Mi sembra quasi un cavaliere dell'Apocalisse, un Anticristo. Con lei la società americana potrebbe essere ancora peggio di quella attuale, dove i valori cristiani sono asfissianti quasi quanto quelli con la Rivoluzione in Iran.
Pensa di tornare in Iran, dopo la fuga da bambina?
No, non credo, almeno non adesso. Non ci sono le condizioni ideali per farlo, anche se la mia famiglia non credo sia così invisa al Governo attuale. Mio padre ogni tanto si lascia scappare «gloria all'Iran» e «Ahmadinejad non è così male», addirittura lo zio di mia madre è Akbar Etemad, padre del nucleare iraniano degli anni 70.
E come giudica la letteratura iraniana negli States?
Il problema dell'editoria americana è che tende costantemente ad un'orientalizzazione del prodotto letterario, puntando sull'esotismo per far breccia nel lettore Usa - cosa che per me è spazzatura. Di iraniane, però, mi piace molto la Satrapi: il suo Persepolis ha introdotto magnificamente e per la prima volta l'Iran al mondo. Mentre Leggere Lolita a Teheran della Nafisi è, secondo me, sopravvalutato.
L'intervista è finita ed è ora di pranzo. La Khakpour si alza e dichiara di esser rimasta esterrefatta dalle abbondanti porzioni dei piatti dei nostri ristoranti: «mai visto nulla di simile a New York (dove ora vive, ndr)». E poi, le sue considerazioni cadono su un certo costume italiano: «Ieri ho acceso la vostra Tv, mio Dio! C'era tutta una serie di ragazze in costumi grossolani (veline ed affini, ndr), ero imbarazzata e scioccata!».
da Il Riformista, 31/03/2009
No comments:
Post a Comment