(un mio articolo sull'intrigante città di Manchester sul Riformista di oggi. I am supposed to add my posts both in Italian and English and I will. Yet have no time to translate my pieces from Italian into another language, sorry about that.)
HISTORY. Genesi della «seconda città» inglese che attende Mourinho. Il battesimo dei Romani, la corsa al cotone, uno sviluppo imponente. Ma anche tanta povertà che ha ispirato perfino Engels. Oggi oltre al calcio di United e City, c’è la modernità.
In Inghilterra c'è un vecchio detto che recita: «Quello che Manchester fa oggi, il resto del mondo lo fa domani». Una massima spaccona, che risale alle Rivoluzioni industriali, ma che, in verità, non si allontana più di tanto dalla realtà. Perché Manchester - che si pronunci Mànchester o Manchèster poco importa, tanto neanche «gli inglesi sanno parlare la loro lingua», direbbe lo Shaw di Pigmalione - è una delle città più avanzate di tutta la Gran Bretagna. Non a caso, viene da molti considerata come la seconda, vera, città dell'Inghilterra dopo Londra, a differenza della più numerosa, ma sciapa Birmingham e della problematica Liverpool. Quella che attende l'Inter non è solo la fossa dei Diavoli di Sir Alex Ferguson, ovvero il "Teatro dei Sogni" Old Trafford. Che si trova inaspettatamente fuori città, ovvero nel borgo di Trafford, nella Greater Manchester area, una contea metro-periferica e numericamente inibitoria - vi dimorano circa 2,5 milioni di abitanti.
No. Manchester è molto di più. È una città che, nel corso della storia, ha visto, subito ed assorbito di tutto. Impero romano, marxismo, nazismo, Ira, iperindustrializzazione, musica "Mad-chester" sono solo alcuni dei corposi capitoli di un libro che si rinnova costantemente ma che ha un passato quanto mai attuale. Del resto, la stessa fondazione della città ripropone quel sottile, ma mai reciso canale tra Roma ed Albione. Dal 79 d.C., quando Giulio Agricola battezzò Mamucium (letteralmente "collina a forma di mammella") il castro romano della poi evoluta Manchester, sino a martedì prossimo, quando il livoroso generale lusitano Mourinho tenterà la Reconquista dell'onore calcistico italiano. Tra questi due paletti millenari, Manchester ha imparato ad imporre il suo ritmo economico, culturale e sportivo all'Inghilterra e al mondo.
Dopo la conquista normanna del 1066, Manchester si è costruita la fortuna industriale dei secoli successivi. Dai sarti alla manifattura e susseguentemente al libero e massivo mercato tessile (soprattutto del cotone) il passo è stato breve. L'apertura, nel 1761, del Bridgewater Canal, il primo corso d'acqua artificiale e navigabile della storia inglese, seguito dall'allestimento dei primi stabilimenti tessili fecero di Manchester il maggior centro mondiale del mercato cotoniero, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "Cottonopolis". E con la Rivoluzione industriale Manchester divenne "la più grande città industriale del mondo".
Un ennesimo nickname che però ai pro di un superlativo ma incontrollato sviluppo industriale vide crescere a dismisura i contro delle mancate riforme sociali. Così le rivolte politiche e della fame dei più poveri non si fecero attendere, sfociando nel sangue come nel massacro di Peterloo dell'agosto 1819. Lo scenario di squallore e miseria delle classi invisibili fece impallidire Charles Dickens quando visitò una fabbrica di Manchester venti anni più tardi. Lì, si dice, ebbe l'ispirazione per la Coketown di Tempi Difficili, con l'obiettivo di dare con la sua opera «il colpo più duro possibile» alla terribile condizione dei miserabili dimenticati da Dio e dalla Regina. E sempre l'industriale ma ingiusta Manchester - «all'epoca paradiso e inferno di estremi indicibili» secondo lo storico Simon Schama - fece ambientare proprio lì ad Engels La situazione della classe operaia in Inghilterra (1844). Vi furono i primi congressi sindacali e, soprattutto, Manchester divenne una roccaforte delle Suffragette e del partito laburista inglese. Non a caso, il congresso nazionale Labour 2008 si svolse proprio nella città del North West England.
Oggi Manchester, dopo le bombe naziste degli anni '40, l'attentato dell'Ira nel '96 - il più violento di sempre sul suolo inglese - e un'economia zoppicante dagli anni 60 sino alla fine degli 80, è una città ancora vivissima, la "capitale del Nord",
dove investire non è un azzardo per gli imprenditori. Ma, allo stesso tempo, è cambiata moltissimo. Parte dei mattoncini "brick" è sopravvissuta, così come i pub stracolmi di pinte di "ale" e irrinunciabili schermi dell'orwelliana SkySport per non perdere neanche un tackle della Premier League. Ma il centro della città si è modernizzato non poco. Molti stabilimenti tessili sono diventati appartamenti, uffici e loft di lusso, mentre altre costruzioni "obsolete" sono state demolite senza tanti complimenti per lasciare spazio ai più splendenti acciaio e vetro che hanno partorito nel 2006 la Beetham Tower, il grattacielo più alto d'Inghilterra al di fuori di Londra, sorto sulla Deansgate - strada che ospita il più grande pub Britsh, il Moon Under Water. In tutto questo, però, sono sopravvissuti non pochi elementi di stile, antico, gotico e vittoriano, come St. Peter's Square, con accanto la splendida Town Hall, controfigura del più famoso Big Ben, soprattutto per le riprese cinematografiche - vietate a Westminster - o la pantheoniana biblioteca Central Library. Per non parlare poi del centro commerciale/sociale kitsch Afflecks Palace, dove crescono le nuove generazioni, e i supercool quartieri Castlefield, Gay Village e Northern Quarter (dove ci sono le targhe dei vip incastonate nei marciapiedi). Insomma, una contemporanea babele stilistica non inusuale per le città inglesi - con Birmingham forse peggior esempio estetico. Ma il resto non è silenzio a Manchester. Perché nella multiculturale (e piuttosto insicura) città degli incazzati Oasis, dei paranoici Joy Division, dei liquefatti Smiths, degli anfetaminici Chemical Brothers, e poi del quotidiano Guardian, di Top of the Pops, di Anthony Burgess, della Halle e della Bbc Philarmonic Orchestra, vi è ovviamente il calcio dello United e del City, team fondati rispettivamente nel 1878 e nel 1880. I Citizens hanno sempre vinto poco, con picchi nazionali negli anni 30 e nel Sessantotto. Anche i Red Devils, tuttavia, fino agli anni 50 non furono irresistibili. Ma poi arrivarono due Messia scozzesi che fecero vincere tutto allo United. Primo il grande manager-talent scout Matt Busby, in panchina per 26 anni dal '45. E poi il socialista, scorbutico, ma insostituibile Alex Ferguson. Grazie agli sceicchi, oggi il City si sta attrezzando per fomentare contro i cugini un duello poco epico (visto il business in gioco), ma titanico. Eppure, qualche tempo fa, le due squadre, o meglio, le loro tifoserie non erano così "nemiche".
Infatti, nonostante vi siano comunque tradizionali sfottò - quelli dello United etichettano i cugini come "perdenti", quelli del City accusano i rossi di non essere di Manchester, bensì di Newton Heath e, fino a qualche tempo fa, di avere l'onta di una dirigenza straniera - prima della Seconda guerra mondiale capitava che le due tifoserie si ritrovassero incredibilmente a tifare per la stessa squadra. Infatti, non vigeva ancora la cultura della trasferta (né c'erano i soldi per farlo) e quindi la squadra che giocava in casa univa le due fazioni di Manchester sotto un unico tifo. Scenari oggi a dir poco improbabili.
«Ma anche dopo la Seconda guerra mondiale le due squadre convissero in qualche modo (dal 1941 al 1949, ndr), in quanto l'Old Trafford era inagibile per i bombardamenti subiti e così sia il City che lo United giocavano al Maine Road» dichiara al Riformista Bernard O'Donoghue, uno dei più importanti poeti irlandesi contemporanei, professore ordinario di Linguistica e Storia della Lingua Inglese presso l'Università di Oxford e trasferitosi a Manchester nel 1961 all'età di sedici anni. «Mia madre» prosegue, «era una grande fan del City, che negli anni '30 era leggermente superiore ai Red Devils, così sono diventato anch'io tifoso dei Citizens. Ma poi dal febbraio del 1958 tutto è cambiato».
Già, quel 6 febbraio 1958. Quando l'aereo con a bordo i Diavoli Rossi si schiantò all' aeroporto Munich-Riem di Monaco al terzo tentativo di decollo dalla pista ghiacciata. Nella Superga anglo-tedesca perirono 23 passeggeri, di questi otto giocatori della nidiata di Busby (compresi il capitano Byrne e il fenomeno Edwards) e tre persone dello staff. Anche Sir Bobby Charlton era su quell'aereo, ma la morte gli regalò solo una rapida occhiata, risparmiandolo. «Dopo quella tragedia, in moltissimi, in Gran Bretagna ma anche in Irlanda, hanno cominciato
a tifare United - tranne me, ovviamente. Vi fu un sentimento di solidarietà collettiva, quasi religiosa» aggiunge O'Donoghue - che ha dedicato il suo poema Immaturities a questa tragedia.
Da quel giorno sono cambiate tante cose. C'è stato il campione di nome e di fatto George Best, il derby del "traditore" (e Pallone d'Oro) Denis Law nel ‘74, l'unico successo internazionale del City, la Coppa delle Coppe del '70, poi sprofondato nella serie C inglese e ora in attesa del sospirato Eden made in Dubai. Ma soprattutto, nel 1986 è arrivato nell'ex Cottonopolis, direttamente dalla Glasgow operaia, Sir Alex Ferguson. Un manager che ha portato lo United sul tetto del mondo, a vincere 21 trofei - quasi la metà dei titoli di più di un secolo di storia del club - e l'unico "treble" della storia inglese (Premier, Fa Cup e Champions nel '99). Fergie è persino riuscito a far raggiungere a Van Der Sar il primato di imbattibilità in Premier. E ha allenato tanti campioni, ma non ha mai guardato in faccia a nessuno, generando anche polemiche tra i tifosi. Stam, Beckham, Keane (ma l'elenco sarebbe ancora più lungo), tutti hanno litigato con lui e hanno fatto le valigie, dopo che Fergie aveva detto loro a muso duro: «My way or highway». Tradotto, o senti quello che dico (cosa già difficile a priori, visto l'osticissimo Scottish English di Fergie, poco più comprensibile dell'accento di Cottonopolis) o la porta è quella, perché nel calcio contano i risultati, non gli uomini.
«Ma non pensate che Manchester sia solo calcio» sottolinea Bernard O'Donoghue. «è stata la capitale del cotone, ha la European Orchestra Halle, l'attuale Guardian era il Manchester Guardian sino agli anni 60 e molto, molto altro». Non v'è dubbio su questo. Certo, se l'irrequieto Noel Gallagher degli Oasis ha definito la "patria" tutta «un buco di merda», il cantante Ian Brown, ex Stone Roses e proveniente da Greater Manchester, dichiarò più pacatamente tempo fa: «Manchester è una città che ha tutto, eccetto una spiaggia». Ma quest'ultima adesso c'è. È l'ultima spiaggia dell'Inter e forse di Mourinho. Perché con l'ossessione Champions, dopo la batosta di Genova e gli ultimi rumour su un possibile ritorno in Premier di Josè, un tracollo a Mamucium potrebbe risultare fatale per il futuro dell'Inter e, soprattutto, del tecnico di Setúbal.
Da Il Riformista, 08/03/09
fucking great article, btw Trafford is Manchester
ReplyDeleteM32 Perryboy MUFC