Londonderry

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Sunday, March 15, 2009

L'Ira e gli U2, I due destini dell'Irlanda

INCROCI PERICOLOSI. Due settimane fa il nuovo disco, lo scorso weekend gli attentati in Ulster. La band ha già scalato le classifiche di mezzo mondo, i terroristi puntano a destabilizzare il processo di pace. Ma vent'anni fa con "Sunday Bloody Sunday", Bono e compagni si scagliarono contro i paramilitari. Uscendone «traditori» per molti, «stronzetti» per Gerry Adams. Qualcun altro, invece, pensava di rapirli. E di ucciderli.
di Antonello Guerrera
Dall'opera magna degli U2 Joshua Tree: «Sì, sto ancora correndo; e ancora non ho trovato quello che sto cercando». Una ricerca senza fine. Come i due punti che chiosano la poesia di Sanguineti. Come la manganelliana impossibilità di concludere. Mentre la flebile pace in Irlanda del Nord si è miseramente sublimata nel corso dell'ultimo weekend, con tre assassini e due feriti gravi in 48 ore e con la guerra che continua anche dopo la cosiddetta pace del Good Friday, la leggenda U2 del leader Paul David Hewson, in arte Bono Vox, va avanti. Forte di una gloriosa carriera composta da 22 Grammy Award, dalla Rock and Roll Hall of Fame e da un granitico impegno sociale e politico, in patria e nel mondo, iniziato negli anni '80 e perpetuatosi sino ad oggi. Due destini della stessa terra, ma concettualmente così lontani, guerra e pace, sangue e musica. Destini che però nel corso della storia sono stati incredibilmente vicini. Un incontro che si sarebbe potuto rivelare fatale per la band di Bono Vox.L'uscita del dodicesimo album No Line On The Horizon, dalla copertina bigiamente rothkiana, è stato da più parti presentato come il ritorno ai grandi fasti originari della band irlandese dopo All That You Can't Leave Behind e How to Dismantle an Atomic Bomb. Tuttavia, l'inedito lavoro, registrato a Fes in Marocco, pare da sufficienza e poco più. Si sente l'influenza musicale - e un po' opacizzante - di Brian Eno e Daniel Lanois, si nota un ritorno al ventesimo secolo pur mantenendo l'elettro-rock attuale, ci sono tracce di buon livello come Magnificent o No Line On The Horizon. Ma siamo complessivamente lontani dalla gloria del passato, ad esempio dal cambio di passo di The Unforgettable Fire, con i vari Pride e Bad. O dalla fortissima denuncia politica di "War", da pezzi miliari e militari come Sunday Bloody Sunday e North and south of the river, Please. Poco male per il mito della band di Dublino, esplosa nello scetticismo inglese verso i «campagnoli» irlandesi, che in trent'anni abbondanti di attività
ha venduto più di 140 milioni di dischi e che ora è in vetta alle principali classifiche mondiali. Tanto che già si pensa ad un altro possibile album entro il 2009, oltre a uscite rimasterizzate di vecchie canzoni (come il primo album Boy). Dopo la recente esibizione stile Beatles di grande fascino (e molto marketing) sulla terrazza della Bbc di Londra e addirittura la 53esima strada della Grande Mela in loro onore, la U2 Way. Loro che intonavano «voglio ripararmi dalla pioggia avvelenata, dove le strade non hanno nome».
Oggi però son tornati gli attentati, pochi giorni dopo l'uscita del nuovo album. Una macabra coincidenza per una band che, a differenza della stragrande maggioranza dei gruppi più giovani, adombrati da una gobba e narcisistica depressione contemporanea, è espressione di un cambiamento generazionale, di una più che matura e maturata coscienza politica e sociale. In Irlanda - dove per secoli la libertà e l'autodeterminazione è stata considerata un fatto di sangue - ma non solo. Basti pensare alla marea di iniziative umanitarie e di sensibilizzazione sostenute dagli U2, da Do they know it's Christmas per i bambini dell'Etiopia (antesignana della proficua collaborazione con Bob Geldof) a Miss Sarajevo con Pavarotti in tempi di guerre balcaniche, da Walk On per San Suu Kyi e i birmani a Jubilee 2000 per la cancellazione dei debiti del Terzo Mondo, sino a The ONE Campaign contro la povertà. Altrimenti, cosa avrebbe mai spinto la rivista Time nel marzo 2002 a dedicare la copertina a Vox col titolo «Riuscirà Bono a salvare il mondo?».
Tra l'altro, il messia di Dublino, insieme ai compagni The Edge, Adam Clayton e Larry Muller Jr., si è esibito il 18 gennaio scorso all'inaugurazione della presidenza Obama (che ha utilizzato City of Blinding Lights come colonna sonora della campagna elettorale), ha festeggiato sul palco la pace del Venerdì Santo nel '98 e il crollo del Muro berlinese (quando già cominciava a delinearsi il coriaceo album Achtung Baby). E che dire della foto del sorridente Vox (amico dei Clinton) che fa il gesto della vittoria insieme al radioso guerrafondaio G. W. Bush. «Mi sono fatto fotografare con Bush perché stava per sborsare dieci miliardi di dollari in tre anni con una clamorosa manovra di aumento della spesa per l'assistenza ai paesi esteri chiamata Millennium Change» si sfoga così il cantante nella sua intervista-confessione Bono on Bono. «E poi che c'entra? Non bisogna essere in sintonia su tutto. Basta una cosa in comune per andare d'accordo con qualcuno. E poi Bush è un tipo divertente. Mentre eravamo in macchina e la gente lo salutava mi disse: "Non è stato sempre così. Quando sono arrivato la gente mi salutava con un dito solo. Adesso hanno trovato le altre tre dita e il pollice"».
Ma intanto la gente degli U2, tra Irlanda e Ulster, come abbiamo visto negli ultimi macabri giorni, non trova ancora requie, dopo che gli accordi di pace del Venerdì Santo 1998 non sono riusciti a freddare una guerra ancora viva. Sarà per la loro candida affezione a New York, città «di pace, tolleranza e unità» (sindaco Bloomberg dixit), ma la band di Dublino conta pacificamente due nativi inglesi e due irlandesi. E lo stesso Bono è nato da una famiglia interconfessionale, padre cattolico (al quale ha dedicato la struggente Sometimes You Can't Make It On Your Own) e madre protestante (la cui morte lasciò il segno nel cantante allora tredicenne). Un meticcio eretico nell'Irlanda degli anni 50. «All'epoca era una faccenda seria, non avevano il permesso di sposarsi. Il polverone sollevato dal loro matrimonio fu assurdo» Bono dixit.
Tra le fazioni di cattolici e protestanti, «la battaglia è appena cominciata, molti hanno perso, ma dimmi chi ha vinto, hanno scavato un solco nei nostri cuori, madri, bambini, fratelli e sorelle, tutti distrutti». Oggi, insieme a North and south of the river, Please, la loro Sunday Bloody Sunday - nata nell'82 ed inclusa in War dell'83 - sull'eccidio britannico (27 vittime) del 30 gennaio 1972 a Londonderry, risuona più che mai mesta e funerea. Una canzone spesso ed erratamente associata al perseguimento dell'unità "politica" irlandese, quando invece il suo unico obiettivo è l'unità "sociale". «L'America ci ha fatto capire cosa significasse essere irlandesi», sottolinea Bono. Proprio negli Usa dell'81, infatti, mentre il militante repubblicano Bobby Sands moriva in Ulster nella prigione di Maze, gli U2 compresero come l'Ira riuscisse a finanziarsi all'estero, grazie ai milioni di immigrati dall'isola gaelica. «Era una cosa straziante» racconta Bono «ma provocava anche sommosse popolari. E il telegiornale ne parlava ogni sera in America. C'era chi faceva i soldi grazie al sacrificio di Sands». In questo modo, se ai concerti del loro tour le generazioni più giovani andavano per ascoltare musica, i loro padri e nonni lanciavano sul palco i soldi da destinare all'esercito paramilitare.
Così gli U2 decisero di, tramite i loro live, sfidare i terroristi e limitarne i fondi, accumulando quanto più denaro possibile dalla gente comune Irish. Al ritorno in patria, Bono continuava a scagliarsi contro i terroristi - vedi il suo «Fuck the Revolution!» nel film Rattle and Hum. E l'Ira se la prese non poco, tanto da minacciare ritorsioni e attentati nei loro confronti. I destini di musica e guerra cominciarono ad incrociarsi pericolosamente.

«Ricevemmo una minaccia di rapimento» racconta Bono, «la polizia la considerò molto seriamente. Ricordo che ci presero le impronte digitali, anche quelle dei piedi. Il che ci accese l'immaginazione…forse ci avrebbero spezzato le gambe?» Di lì a poco, alcuni pub per gli U2 divennero off-limits e una volta un nutrito gruppo di persone bardato di tricolori irlandesi circondò la macchina della band alla fine di un concerto, gridando loro: «Inglesi, traditori!». Gerry Adams, presidente dell'ex braccio politico dell'Ira Sinn Féin, tolse tutti i poster degli U2 dagli uffici del suo partito e definì Bono a mezzo stampa addirittura «uno stronzetto». Anche se poi ci fu la riconciliazione con il leader politico nell'ambito del progetto Jubilee 2000. «Mi ha teso la mano» continua il cantante, «e lo rispetto per questo. Gliel'ho stretta. In Irlanda c'è un modo di dire: "Tieni le mani in tasca quando parli con certe persone". Ma io ho tirato fuori la mia e lui la sua». Sino al colmo, tragicomico, del 2000: uno dei bodyguard al suo seguito per un live a Dublino era un ex galeotto dell'Ira.
«Odiavo l'ambiguità irlandese» confessa Bono. «Quando c'era un attentato che costava vite umane, la gente diceva "ah, hanno esagerato adesso". Ma qualche mese dopo qualcuno si metteva a cantare nei pub canzoni folk o un inno di battaglia, come One Nation Again, il cappello girava e tutti mettevano soldi per la lotta». Da questa sofferenza, fisica e morale, Bono sul palco di Belfast nel dicembre 1983 annunciò Sunday Bloody Sunday con: «Questa non è una canzone di ribellione. Se non vi piace, non la suoneremo mai più». La performance fu approvata dal pubblico per uno scrosciante messaggio di pace. Ma attenzione, ricorda Bono, «persino la rivoluzione sandinista ha preso spunto dai moti gaelici. Dovunque scoppi una rivoluzione, troverai suore e preti irlandesi che saltano fuori dai cespugli». Un folklore di massiva resistenza oltranzista, annidato da secoli nella popolazione. Lo stesso poeta irlandese, premio Nobel nel 1923, W. B. Yeats, del resto, decantava la rosa resa rossa dal sangue dei martiri gocciolato sulla terra.


da Il Riformista, 15/03/2009


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