Londonderry

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Monday, October 7, 2013

La stanchezza dell'Occidente

Non bastava lo "shock" di Ben Affleck al posto dell’affezionato Christian Bale. Oramai Batman – lo ha annunciato il suo nuovo interprete – è "vecchio, provato". E, soprattutto, "stanco". L’uomo pipistrello, che nel 2015 tornerà nel sequel dell’Uomo d’acciaio, non ce la fa più. Fisicamente, ma anche psicologicamente. Riecheggia l’estenuante Prometeo di Kafka, quando "gli dei si stancarono, le aquile si stancarono, la ferita si richiuse lentamente".

Del resto, oggi una delle parole più ricorrenti nella società e nei media occidentali è "stanchezza". Quando l’attacco in Siria contro Assad sembrava imminente, i giornali americani erano infestati dalla combo "war-weary", "stanchi della guerra". Una risacca già vista negli Usa dopo la Prima Guerra mondiale e sulle rive esangui del Vietnam. Nei suoi recenti discorsi, Obama ha più volte invitato gli americani a esorcizzare la spossatezza. Mentre conservatori come Bill Kristol gli rinfacciavano invece di essere l’artefice dell’odierna stanchezza americana, in quanto commander-in-chief ambiguo e riluttante.

L’intervento in Siria, tuttavia, è solo un tassello di un mosaico più frastagliato. Come ha scritto il vicedirettore del Daily Telegraph Benedict Brogan, "tutto l’Occidente", sprimacciato dalla peggiore contrazione economica dal Dopoguerra, "è stanco". Stanco della crisi, delle precarietà sociali, di una certa classe politica ferita dagli errori del passato. Non è la prima volta. Ma forse c’è dell’altro all’ombra di uno Zeitgeist per cui persino il Papa emerito, Benedetto XVI, si è dimesso poiché terribilmente stanco. O se la prima causa degli incidenti aerei in Regno Unito è la stanchezza dei piloti. O se persino gli spagnoli devoti alla siesta sono così stanchi che ora pensano di cambiare il fuso orario, inedita cassandra. O se, qualche anno fa, il Parlamento dei Paesi Bassi ha addirittura discusso una petizione popolare con l’obiettivo di legalizzare l’eutanasia per gli ultra70enni "stanchi della vita", in scia a un alteratissimo Sein zum Tode heideggeriano.

Per alcuni, siamo schiavi di una depressa Società del disagio, come ha notato il sociologo francese Alain Ehrenberg (Einaudi). Per altri, siamo impantanati nella Società della stanchezza, come ha sintetizzato nell’omonimo saggio (edito da Nottetempo) lo studioso tedesco-coreano Byung-Chul Han. Dal "dolce sterminio" "virtuale" di Baudrillard, il leitmotiv di Han è: siamo stanchi perché viviamo in una società travolta da una positività brutale. In Occidente, l’eccesso di produzione, prestazione e comunicazione genera rigetto neuronale, "infarti psichici" e dunque esaurimento, affaticamento, soffocamento.

Raggiunto da Repubblica, Han sostiene che la tecnologia, invece di facilitarci la vita, può partorire mostri inquietanti: "L’attuale tecnica digitale ci ha promesso la libertà. In realtà, ci ha reso "mobili" e il lavoro è diventato ubiquo. Ma non è tanto il lavoro che ci sfinisce, quanto l’obbligo di lavorare più duramente, incarnato nel principio della prestazione". "Siamo travolti da informazioni e comunicazione", prosegue Han, "queste, se in eccesso, esercitano violenza su di noi. E così siamo sempre più incapaci di discernere le cose importanti da quelle futili".  Anche sui social network, il giudizio di Han è netto: "Facendo il verso al Publicatio sui di Tertulliano, Facebook e Twitter sono macchine dell’Ego. Nel frattempo i nostri rapporti reali si sfilacciano. E l’ego-ossessione genera stanchezza e depressione, che possono essere sconfitte soltanto dall’eros. Gli smartphone altro non sono che specchi dove ci piace vedere la nostra immagine riflessa".

Da tempo, vari studi scientifici additano a smartphone, tablet e affini le cause dei disturbi del sonno, e quindi di una devastante spossatezza. Che, stando al Royal College of Psychiatrists, affligge addirittura un britannico su cinque. Eppure, dati Ocse alla mano, lavoriamo meno rispetto a venti anni fa. Nerina Ramlakhan, autrice dell’allarmante saggio Tired but Wired ("Stanchi ma connessi"), ha fatto notare che il flusso continuo di informazioni oramai è abnorme e non può essere smaltito dal nostro cervello. Così la materia grigia "non riposa mai".

"Per mancanza di calma, la nostra civiltà sbocca in una nuova barbarie", annotava già a fine XIX secolo Friedrich Nietzsche in Umano troppo umano riferendosi a un’iperattività mortale. Per Edmund Husserl, invece, la stanchezza era addirittura "il più grande pericolo per l’Europa". Tuttavia, lo stesso Husserl sosteneva anche che "dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell’umanità". Oggi la penserebbe allo stesso modo?

Articolo apparso su La Repubblica, 06/10/13

Tuesday, July 16, 2013

Nemmeno Thom Yorke crede più nella "democrazia della rete"

Dalla (bellissima) intervista di Giuseppe Videtti a Thom Yorke, oggi su Repubblica:

«Non crediamo più alla democrazia della rete che predicammo all’epoca di In Rainbows, nel 2007», aggiunge Thom, «Internet è diventato un posto insidioso, pieno di notizie false, di messaggi manipolati ad arte, di blog subdoli architettati da aziende potentissime che si presentano sotto false identità. E chissà come andrà a finire».

Tuesday, July 2, 2013

Il mio pensiero sull'Egitto...


...lo riassume magnificamente questo editoriale del Washington Post. In particolare:

As we have written previously, there are substantial grounds for concern that Mr. Morsi and the Muslim Brotherhood movement are seeking to monopolize power. But the opposition’s undemocratic answer offers little prospect of a good outcome. If mass protests succeed in prompting the government’s downfall or a military coup, any future elected government will be subject to the same tactics. 


Se un comico di nome Hitler riconquista la Germania



Lui è tornato. Lui chi? Lui, Adolf Hitler. Ed è pronto a riprendersi la Germania di Angela Merkel. Un incubo aberrante diventato inarrestabile successo editoriale. Perché Lui è tornato, romanzo dello scrittore tedesco Timur Vermes pubblicato in Italia da Bompiani, ha venduto oltre 600mila copie in Germania, è stato per mesi in testa alle classifiche di vendita e si è moltiplicato in quasi trenta lingue. Da noi non si è smentito: ben due edizioni nella prima settimana.
Sin dalla sua pubblicazione tedesca, Lui è tornato ha attirato polemiche. Per i suoi critici, il libro si macchia di una sconsiderata spensieratezza nel riciclare una metastasi nazionale come Hitler. Ancora oggi il Führer è un granitico tabù in Germania, e per certi versi un "parafulmine" generazionale per i crimini commessi dal regime nazista, il cui partito aveva attratto un ampio voto popolare nelle elezioni libere. Vermes ha scritto Lui è tornato anche per questo, come ammette nell'accurata appendice del libro. Ma dice di averlo scritto anche per ricordare alla "solidissima" democrazia tedesca che il male assoluto può rinascere e diffondersi in qualsiasi momento (si ricordi l'inquietante film L'Onda di Dennis Gansel). Il Führer di Vermes sembra solo uno sciroccato che dice stupidaggini. Chi mai potrebbe dargli retta nella nostra epoca ultra-democratica? Ebbene, in tanti, tantissimi, secondo Vermes.
Come aveva già immaginato Walter Moers nel suo graphic novel Adolf: Äch bin wieder da!, Hitler 2.0 si risveglia wellsianamente a Berlino, una settantina d'anni dopo la sua morte. Non ha una casa, affetti, vestiti, se non quella «buffa» divisa nazista. Lo "adotta" un edicolante piacione. A un certo punto, un autore televisivo si accorge di questo tipo un po' tocco ma terribilmente simile al Führer.
Pare molto bravo a "recitare" e "improvvisare". Qui comincia la carriera televisiva del "comico" Adolf Hitler.
È solo un comico, certo. Ridicolo quanto Il grande dittatore di Charlie Chaplin. Ma in poche settimane le sue astruse performance in tv e le tiritere contro stranieri, ebrei e finanza conquistano una marea di seguaci, anche grazie alla viralità di Internet. Dopo qualche mese, Hitler anestetizza, in modo tanto originale quanto assurdo, tutta la stampa - un giornalista arriva a definirlo «retrospettiva potemkiana». A poco a poco, collaboratori e colleghi cominciano a inscenare Sieg Heil in libertà. Tutti i partiti tedeschi, in abissale crisi d'identità, lo vogliono, persino la Spd di centrosinistra. È solo l'inizio. L'inizio della fine.
Lui è tornato è un libro comico, scorrevole, per certi versi, è persino illuminante, vedi la lucida analisi dei media odierni da parte del Führer. Tuttavia, come nel film La Caduta di Oliver Hirschbiegel, il romanzo non banalizza di certo il male, ma (ri)partorisce un Hitler molto umano, la cui stramba inettitudine al XXI secolo lo rende mostruosamente simpatico, nonostante le nefandezze che impila. Dire che Lui è tornato sia un libro pericoloso suonerebbe inquisitorio e superficiale.
Ma ritorna la domanda di sempre: come già visto con l'artista Cattelan, qual è il limite per parlare di un mefistofele come Adolf Hitler, qui incarnato da un Führer involontariamente spassoso che ripete, fino all'assuefazione goebbelsiana, i suoi slogan anti-europei, anti-immigrati, anti-finanza, anti-semiti, tanto da far sembrare i "camerati" dell'attuale partito di estrema destra tedesco Npd un branco di mocciosi? Il punto del libro è proprio questo: la democrazia, purtroppo, non è un'entità eterna, né assiomatica o autosufficiente.
Come ha scritto Gustavo Zagrebelsky in Contro l'etica della verità (Laterza), il suo ethos non si produce da sé. La democrazia deve sapersi rinnovare e difendere dalle derive autocratiche, perché una sua assuefazione può generare apatia quanto rigetto. Tanto che l'Hitler del romanzo ricorda compiaciuto come la sua «rivoluzione avvenne con un'elezione». Tanto che la catastrofe finale in Vermes viene annunciata dalla spaventosa frase «non era tutto sbagliato» - che potrebbe brutalmente ricordare «il fascismo qualcosa di buono ha fatto». Tanto che un'insospettabile signorotta tedesca, alla fine del libro, dice al Führer: «Lei sarà spaventoso.
Ma per lo meno non è noioso».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Antonello Guerrera
(Articolo uscito su Repubblica il 1 luglio 2012)

Friday, June 21, 2013

Il, ehm, "moderato" Hassan Rohani




Gigi Riva, l'Espresso 21 giugno 2013:


Hassan Rohani "è un uomo del clero, 

è stato un fedele seguace oltre che amico dell'ayatollah Khomeini ed è andato sulla sua tomba a rendergli omaggio dopo la vittoria, 
ha definito Israele 'il grande Satana sionista', 
ha già detto di essere contrario a uno stop del controverso programma nucleare, 
aveva invocato la pena di morte per gli studenti che manifestarono in piazza nel 1999 e nel 2004 definendo la democrazia una 'copertura americana' 
ed era stato eloquente il suo silenzio durante la violenta repressione dell'Onda Verde nel 2009".

Thursday, April 4, 2013

Rassegna internazionale (cose di esteri) 04/04/13



Sette pezzi di cose estere oggi che (not necessarily in that order) dovreste leggere. Secondo me.

1) "E spunta la mozione per il ritiro da Kabul" sul possibile asse M5S-Sel per il ritiro dei soldati italiani dall'Afghanistan. Di Claudio Marincola sul Messaggero.

2-3) Una bella combo di Omero Ciai su Repubblica sulla crisi della monarchia spagnola, "L'infanta Cristina indagata per corruzione" e "Felipe, il piccolo principe che può salvare la monarchia".

4) "Il modello olandese in crisi" su Il Post. Debiti, disoccupazione e bassa crescita sono arrivati in uno dei principali paesi promotori dell'austerità, a causa di una grossa bolla immobiliare e delle politiche fiscali.

5) "I burocrati nel mirino di Putin" di Antonella Scott su Il Sole 24 Ore. Due parole d'ordine per Vladimir: lotta alla corruzione (si veda a tema un ottimo articolo dell'Economist di qualche tempo fa) e "de-offshorizzazione"...

6-7) E sulla Corea del Nord. "Paranoia nucleare" di Ian Buruma su Repubblica e "Quelle fabbriche al confine, dove le due Coree si incontravano" di Stefano Carrer sul Sole 24 Ore.

#ciao



Kracht e i nazi-spauracchi della letteratura tedesca



(Articolo uscito su La Repubblica, 04/04/13)

La gobba di Oskar nel Tamburo di Latta di Günter Grass, simbolico fardello dei peccati mortali nazisti, è ancora oggi granitica e pesantissima in Germania. Non a caso, fino a poco tempo fa il governo Merkel voleva addirittura mettere fuori legge il partito di estrema destra tedesco Npd – idea poi accantonata per l’opposizione del Partito liberale, alleato della cancelliera. Ma sotto accusa per simpatie naziste o antisemite in Germania finiscono spesso anche libri e scrittori. L’ultimo spauracchio è da poco arrivato in Italia. È un romanzo e si chiama Imperium (Neri Pozza, traduzione di Alessandra Petrelli).
L’autore è lo svizzero Christian Kracht, classe ’66, scrittore tra i più rinomati della sua generazione. Il libro, dalla prosa esotica e rigogliosa che a tratti(ma solo a tratti) riecheggia Conrad e Céline, parla dell’utopia di un giovane nudista vegano di inizio XX secolo, August Engelhardt. Il protagonista, folgorato dal mito colonialista tedesco, decide di fondare una comunità romantica e pura su un’isola del Pacifico, per cibarsi esclusivamente di cocco e conquistare l’immortalità: un viaggio verso “la sua Sion”, abbozza Kracht.
Imperium è finito sotto il fuoco di virulenti critiche dopo un’aspra recensione dello Spiegel firmata Georg Diez. Secondo il giornalista, la prosa di Kracht incarna il cavallo di Troia dei neonazi tedeschi, la banalizzazione del male e delle loro nefandezze, il dandy mellifluo di violenti e xenofobi. Diez se la prende soprattutto con alcuni passaggi di Imperium, effettivamente intinto di strane allusioni, come un oscuro paragone tra il protagonista August e il “romantico” Hitler, onirici templi pagani, vigorosi inni wagneriani et alia. Tutte allusioni all’immaginario di estrema destra che Diez rintraccia anche in altri libri dello svizzero.
Appena esplosa la polemica, Kracht è stato difeso da una schiera di importanti scrittori di lingua tedesca come il Nobel austriaco Elfriede Jelinek. In effetti, nel libro il protagonista August non le manda a dire neanche ai tedeschi, bollati come “pallidi, ispidi, volgari”. E quando un nuovo adepto tedesco violenta un giovane indigeno dell’isola, suo fedele aiutante, August non esita a ucciderlo per vendicare la povera vittima.
Il vero problema, tuttavia, sorge se Imperium viene contestualizzato in alcuni inquietanti aspetti della vita del suo autore. Kracht viene spesso accusato di dare adito a teorie razziste e ariane per uno specifico peccato originale, ossia alcune sue conversazioni e scambi di email con David Woodard, un controverso artista americano, dove i due apprezzano alcuni aspetti dei movimenti estremisti e l’utopica colonia ariana di Nueva Germania, fondata nel 1887 in Paraguay da Bernhard Förster, cognato di Nietzsche. Idee dalle quali l’oscuro Kracht è sempre rimasto pericolosamente affascinato, almeno dal punto di vista letterario e narrativo.
Ma Kracht non è il solo a ridestare gli spettri più agghiaccianti dei tedeschi. L’ultimo caso che ha fatto molto scalpore è un romanzo goliardico di Timur Vermes, Er st wieder da, ovvero Lui è tornato. “Lui” non è altri che Adolf Hitler. Che, come aveva già immaginato Walter Moers, rinasce nel futuro (qui nel 2011), diventando, seppur goffamente, un idolo su You-Tube, pronto a riprendersi la Germania. Satira divertente o mostruoso azzardo? Spiegel e Süddeutsche Zeitung hanno criticato severamente il romanzo per la sua sconsiderata spensieratezza nel riesumare Hitler. In passato diversi artisti, da Lubitsch a Levy con i loro film, hanno ironizzato sul Führer, spesso attirando critiche. Hirschbiegel, invece, era stato accusato di ritrarre un Hitler troppo umano in La Caduta. Fatto sta che Lui è tornato, dopo la sua uscita a fine 2012, è diventato subito un bestseller, con oltre 400mila copie già vendute in Germania e traduzione in quasi 30 lingue (in Italia uscirà prossimamente per Bompiani).
Solo qualche anno fa la Germania (dove tra l’altro dal 2015 potrebbe cadere anche il divieto di pubblicazione del Mein Kampf) era già stata terrorizzata dal ciclone Thilo Sarrazin, l’ex economista della Bundesbank in quota Spd (centrosinistra) e autore dell’esplosivo saggio La Germania si distrugge da sola, accusato di antisemitismo e xenofobia per i suoi duri attacchi agli immigrati, specialmente musulmani, che per l’autore rappresenterebbero un insopportabile fardello sociale ed economico.
In scia a Sarrazin, qualche mese fa, un altro socialdemocratico da tempo scettico verso il multiculturalismo, Heinz Buschkowsky, ha scosso molti con il libro Neukölln è dappertutto, secondo cui molti figli degli immigrati residenti nel quartiere di Berlino che lui amministra sarebbero pigri. E persino un editorialista dello Spiegel, Jakob Augstein, è stato recentemente inserito dal centro Wiesenthal tra i peggiori antisemiti viventi per le sue critiche a Israele (come “Gaza è un lager”). Israele che a sua volta ha bollato come persona non grata Grass per alcuni recenti versetti al vetriolo contro la politica estera dello Stato ebraico. Quel Grass che solo qualche anno fa ha scioccato il Paese confessando un passato tra le SS.
Anche per questo in Germania ora c’è la corsa al politically correct nei libri. E come con Mark Twain in America, si è iniziato a “purificare” famosi racconti per bambini da termini “poco multiculturali”. Lo scorso gennaio è accaduto a La piccola strega di Otfried Preussler, scritto nel 1957. Nell’originale c’erano termini scomodi, vedi “negro”. Ora non più. La decisione ha scatenato un putiferio sulla libertà di espressione in Germania, nonostante la revisione della Piccola strega fosse stata accordata con lo stesso Preussler. Che, ironia della sorte, è morto pochi giorni dopo.

Antonello Guerrera

********* IL LIBRO Imperium di Christian Kracht (Neri Pozza pagg. 192 euro 16)

Tuesday, April 2, 2013

Rassegna internazionale (cose di esteri) 02/04/13


Sette pezzi di cose estere oggi che dovreste leggere.

1) "La maledizione dei Navy Seals, decimata la squadra dei killer di Osama" su La Repubblica. Vittorio Zucconi racconta le continue morti, accidentali e per alcuni misteriose, dei componenti del corpo speciale americano che uccise Bin laden in Pakistan. 


2) "Hamas nomina il nuovo capo nel mezzo di una guerra contro l'Egitto" su Il Foglio. Daniele Raineri spiega le elezioni interne segrete del gruppo palestinese per eleggere il nuovo capo, ossia nuovamente Khaled Meshaal (come Raineri riesce ad anticipare, perché la conferma ufficiale è arrivata solo a tarda notte) e i rapporti ancora difficili con l'Egitto di Morsi e dei Fratelli Musulmani, nonostante premesse (e speranze) di ben altro tipo. 


3) "Cambiano molte cose nel Regno Unito" su Il Post. Lunedì sono entrate in vigore riforme che modificano radicalmente il welfare: si spenderà meno e meglio, dicono i conservatori al governo. I laburisti invece sono molto critici (anche se recentemente hanno lanciato pure loro proposte in tal senso, soprattutto nei confronti dei lavoratori stranieri).


4) "Gli errori pericolosi di Cina e Stati Uniti" su Il Sole 24 Ore. Pezzo di Alberto Negri sulla crisi coreana, in questi ultimi giorni sempre più tesa. Scrive Negri che la Corea del Nord è sì imprevedibile e pericolosa, ma la Cina non riesce più a controllarla. Mentre gli Stati Uniti e la Corea del Sud non hanno saputo parlare a Pyongyang (su questo non sono d'accordo, ma va beh). 


5) "Gaza: la didattica di Hamas: sessi separati nelle scuole" su Il Corriere della Sera. Elisabetta Rosaspina racconta la nuova proposta di Hamas a Gaza, ossia far chiudere le ultime scuole "miste" rimaste, anche quelle non musulmane. 


6) "Teheran, voglia di normalità" su La Stampa. Roberto Toscano introduce le prossime elezioni presidenziali iraniane, previste il 14 giugno prossimo e fa il punto sugli scenari, politici ed economici, del dopo Ahmadinejad.


7) E, sempre su Teheran, "Il compromesso necessario con l'Iran" su Il Sole 24 Ore. Perché, secondo Gary Sick, l'Occidente dovrebbe accettare il nucleare civile di Teheran in cambio di ispezioni e vincoli sull'uranio. 


Farewell. 

Monday, April 1, 2013

Una buona legge elettorale forse ce l'abbiamo già


Una buona legge elettorale in Italia, o almeno una sua bozza, ce l'abbiamo già.
È quella per comuni con più di 15mila abitanti (seppur con qualche riserva e doverosa modifica).
E potrebbe essere un'ottima base per le elezioni nazionali, perché, tra le altre cose:

- Con il ballottaggio si riuscirebbe a governare anche un Paese spaccato in 4 come l'Italia.
- Ci sarebbe un vincitore vero (cosa molto rara in Italia) e legittimato dalla maggioranza degli italiani al ballottaggio.
- È una legge che darebbe stabilità. Se modificata intelligentemente, senza voti disgiunti o affini, la coalizione (o il partito) che vince, ma solo al secondo turno o al primo con 50%+1 dei voti, prenderebbe il 60% dei seggi (il restante 40% viene diviso proporzionalmente tra i restanti partiti, come avviene nei comuni, anche se con dinamiche diverse).
- È la legge migliore per bloccare gli estremismi distruttivi (vedi in Francia, dove c'è un sistema simile, anche se presidenziale).

Dunque, domanda. Perché non riciclare questa legge elettorale a livello nazionale?