Londonderry

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Monday, November 2, 2009

Marie NDiaye. Scrittrice nera dalle banlieue al Goncourt



INTERVISTA. Dopo il Nobel dell'afroamericana Toni Morrison nel 1993, si è infranto un altro tabù: una scrittrice di colore vincitrice del più prestigioso premio di Francia. Figlia di padre senegalese e madre francese, l'autrice di “Una stretta al cuore”, appena tradotto da Giunti, ama l'Italia. Ma è rimasta «scioccata» dall'immagine delle donne nel nostro Paese: «È peggio di 20 anni fa».

Poco meno di due decenni fa, fu Toni Morrison ad infrangere i tabù della lattiginosa Svezia. Era il 1993 quando la scrittrice americana, già vincitrice del Pulitzer cinque anni prima, ottenne il riconoscimento più alto, il premio Nobel per la letteratura, che mai, sino a quel momento, era stato assegnato ad una scrittrice di colore. Oggi, anche la multiculturale Francia potrebbe rinnegare la cabala del più importante riconoscimento di casa, il Goncourt, che sinora ha premiato solo scrittrici di carnagione bianca. Forse perché «la stragrande maggioranza degli autori francesi proviene da quello scenario chiuso della borghesia educata». È questo il motivo, postulato pochi giorni fa all’Agence France-Presse, per Marie NDiaye, scrittrice franco-senegalese cresciuta nelle banlieue e prima donna di colore che potrebbe interrompere il trend “ariano” del Goncourt lunedì 2 novembre, quando verrà annunciato il vincitore dell’edizione 2009.
Il suo ultimo Trois Femmes Puissantes (tradotto «Tre donne potenti»), sbarcato nelle librerie francesi lo scorso settembre, è subito salito in testa alle classifiche di vendita e ha strabiliato la critica, che ha accolto l’opera come «vertiginosa», «magistrale». Lo stesso quotidiano transalpino Le Monde ha definito la sua voce «assolutamente originale, che si eleva dal chiacchiericcio generale». Trois Femmes Puissantes, che verrà tradotto in italiano da Giunti nel 2010, è la storia dei calvari e delle umiliazioni di tre donne che fanno la spola, al confine di sogno e realtà, tra la Francia e il Senegal. Anche nel suo ultimo romanzo, Marie conferma il suo stile, inaugurato sin dall’esordio all’età di diciassette anni con Quant au riche avenir: ambientazioni oniriche, irreali, colme di simbolismo e depressione. Elementi che si ritrovano anche nell’ultimo romanzo tradotto in italiano (sempre da Giunti) Una stretta al cuore, dove Bordeaux è città da incubo, deformante nel corpo e nella mente. Scenario kafkiano di una coppia di insegnanti francesi, maledetti da Dio e dagli umani non si sa per quale immondo peccato, il cui istinto vitale affoga improvvisamente in un labirinto comatoso. A pochi giorni dall’annuncio del premio Goncourt, Marie NDiaye, che ora vive a Berlino, si è raccontata al Riformista.

Marie, nel suo ultimo libro ritornano gli scenari depressi, tenebrosi, annebbianti. I suoi romanzi presentano costantemente tali ambientazioni per via della sua infanzia trascorsa in una banlieue francese?
Non proprio. Ho vissuto in una banlieue, ma decisamente diversa da quelle ritratte in televisione durante le rivolte. La mia era una banlieue residenziale, piuttosto tranquilla, abitata da gente semplice, in un'epoca in cui la disoccupazione praticamente non esisteva. Niente a che vedere con i problemi attuali delle banlieue. Oggi la società moderna, con la solitudine che spesso genera, produce una forma di paranoia “ordinaria”. Da questo punto di vista, quello che mi interessa è far precipitare il lettore nell'incertezza: il personaggio è veramente vittima di un'aggressione (come capita ad Ange di Una stretta al cuore, ndr) o non è altro che una sua costruzione mentale? Ne Una stretta al cuore, la città di Bordeaux diventa minacciosa nella misura in cui Nadia sente montare dentro di sé un vecchio senso di colpa. Più lei prova a respingere quest'angoscia, più la città si fa oppressiva.
Lei potrebbe essere la prima donna di colore a vincere il prestigioso Goncourt. Perché, secondo lei, “Trois Femmes Puissantes” meriterebbe un riconoscimento così alto? E cosa ha di diverso rispetto ai romanzi precedenti?
Trois femmes puissantes traccia il ritratto di tre personalità femminili molto differenti l'una dall'altra: queste donne non hanno le stesse chance nella vita, non provengono dallo stesso ambiente e non proprio dalla stessa cultura. Tuttavia, ciò che le unisce è la medesima forza interiore, il modo di non mettere mai in dubbio la propria identità, di rendersi inaccessibili a qualunque sentimento di umiliazione. Sinceramente, non saprei dire cosa piaccia di più in questo libro rispetto ai precedenti. Probabilmente, la presenza dell'Africa e di donne africane ha fatto la differenza.

A questo proposito, cosa pensa della condizione delle donne nel mondo di oggi? Proprio in Francia, ci sono state roventi polemiche per il divieto del velo musulmano nelle scuole, da alcuni visto come un’offesa all’universo femminile. Qual è il suo pensiero, anche alla luce del suo background multiculturale (padre senegalese, madre francese)?
È vero, mio padre è senegalese, ma io non ho mai vissuto con lui e sono stata solo una volta in Senegal. Quindi, anche se può sembrare strano, non ho una doppia cultura, non mi sento rappresentante di un background multiculturale. Ad ogni modo, ritengo sia decisamente meglio essere una donna oggi rispetto a 50 anni fa, abbiamo conseguito molti progressi da questo punto di vista. Il problema non è tanto il velo in sé per sé, ma il simbolo di appartenenza religiosa che esso rappresenta in un contesto come la scuola, come molti altri oggetti di altri culti, vedi la kippah ebraica, le croci appese al collo dei cattolici e via dicendo. Per questo motivo, in linea di principio sono contraria a tutti i simboli di appartenenza religiosa tra le mura scolastiche.

Lei che ha vissuto per due anni a Roma negli anni Ottanta, cosa pensa della condizione delle donne italiane, dopo le ultime polemiche scatenate dalla vita privata del premier Berlusconi e dell’immagine femminile propagata dalle sue televisioni?
Amo l'arte di vivere in Italia, la leggerezza colma di grazia, l'arte della seduzione... Amo molto l'opera di Alberto Moravia, Primo Levi, Rosetta Loy, Anna Maria Ortese, Cesare Pavese, tra gli altri. Ma, per quanto concerne l’immagine delle donne veicolata dalle tv italiane… devo dire che ne sono rimasta scioccata. È incredibile, ma mi sembra che la situazione per le donne di oggi sia addirittura peggiorata rispetto al mio soggiorno italiano di venti anni fa. In Germania, invece, dove vivo adesso, è tutto diverso. In quanto donna, mi sento molto meglio qui.

Ha pubblicato il suo primo libro a 17 anni, ha vinto il Premio Femina con il romanzo “Rosie Carpe” a 21, oggi, a 42 anni, la sua bibliografia conta quasi venti titoli, tra cui piece teatrali ben accolte dalla critica. Da dove attinge questa costante e rigogliosa ispirazione?
Traggo ispirazione da tutto ciò che mi circonda: le vite altrui, i fatti più diversi, le storie ascoltate in televisione... Tutto ciò che è umano suscita il mio interesse. Ho iniziato a scrivere molto giovane perché sono sempre stata una lettrice assidua e ho desiderato creare da me quello che mi procurava così tanto piacere: i libri. Le mie letture fondamentali si possono riassumere in tre nomi: Marcel Proust, William Faulkner, Malcolm Lowry. Certo, non sono così presuntuosa da dire di saper scrivere come loro. Molto spesso tra la stesura di un libro e l'altro passa molto tempo, un anno o anche di più, senza scrivere niente. Allora leggo, e prendo appunti. E quando arriva il momento giusto, imbocco la penna e mi metto a scrivere. È il mio mestiere da così tanto tempo. E, sinceramente, non saprei fare altro.