Londonderry

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Tuesday, July 2, 2013

Se un comico di nome Hitler riconquista la Germania



Lui è tornato. Lui chi? Lui, Adolf Hitler. Ed è pronto a riprendersi la Germania di Angela Merkel. Un incubo aberrante diventato inarrestabile successo editoriale. Perché Lui è tornato, romanzo dello scrittore tedesco Timur Vermes pubblicato in Italia da Bompiani, ha venduto oltre 600mila copie in Germania, è stato per mesi in testa alle classifiche di vendita e si è moltiplicato in quasi trenta lingue. Da noi non si è smentito: ben due edizioni nella prima settimana.
Sin dalla sua pubblicazione tedesca, Lui è tornato ha attirato polemiche. Per i suoi critici, il libro si macchia di una sconsiderata spensieratezza nel riciclare una metastasi nazionale come Hitler. Ancora oggi il Führer è un granitico tabù in Germania, e per certi versi un "parafulmine" generazionale per i crimini commessi dal regime nazista, il cui partito aveva attratto un ampio voto popolare nelle elezioni libere. Vermes ha scritto Lui è tornato anche per questo, come ammette nell'accurata appendice del libro. Ma dice di averlo scritto anche per ricordare alla "solidissima" democrazia tedesca che il male assoluto può rinascere e diffondersi in qualsiasi momento (si ricordi l'inquietante film L'Onda di Dennis Gansel). Il Führer di Vermes sembra solo uno sciroccato che dice stupidaggini. Chi mai potrebbe dargli retta nella nostra epoca ultra-democratica? Ebbene, in tanti, tantissimi, secondo Vermes.
Come aveva già immaginato Walter Moers nel suo graphic novel Adolf: Äch bin wieder da!, Hitler 2.0 si risveglia wellsianamente a Berlino, una settantina d'anni dopo la sua morte. Non ha una casa, affetti, vestiti, se non quella «buffa» divisa nazista. Lo "adotta" un edicolante piacione. A un certo punto, un autore televisivo si accorge di questo tipo un po' tocco ma terribilmente simile al Führer.
Pare molto bravo a "recitare" e "improvvisare". Qui comincia la carriera televisiva del "comico" Adolf Hitler.
È solo un comico, certo. Ridicolo quanto Il grande dittatore di Charlie Chaplin. Ma in poche settimane le sue astruse performance in tv e le tiritere contro stranieri, ebrei e finanza conquistano una marea di seguaci, anche grazie alla viralità di Internet. Dopo qualche mese, Hitler anestetizza, in modo tanto originale quanto assurdo, tutta la stampa - un giornalista arriva a definirlo «retrospettiva potemkiana». A poco a poco, collaboratori e colleghi cominciano a inscenare Sieg Heil in libertà. Tutti i partiti tedeschi, in abissale crisi d'identità, lo vogliono, persino la Spd di centrosinistra. È solo l'inizio. L'inizio della fine.
Lui è tornato è un libro comico, scorrevole, per certi versi, è persino illuminante, vedi la lucida analisi dei media odierni da parte del Führer. Tuttavia, come nel film La Caduta di Oliver Hirschbiegel, il romanzo non banalizza di certo il male, ma (ri)partorisce un Hitler molto umano, la cui stramba inettitudine al XXI secolo lo rende mostruosamente simpatico, nonostante le nefandezze che impila. Dire che Lui è tornato sia un libro pericoloso suonerebbe inquisitorio e superficiale.
Ma ritorna la domanda di sempre: come già visto con l'artista Cattelan, qual è il limite per parlare di un mefistofele come Adolf Hitler, qui incarnato da un Führer involontariamente spassoso che ripete, fino all'assuefazione goebbelsiana, i suoi slogan anti-europei, anti-immigrati, anti-finanza, anti-semiti, tanto da far sembrare i "camerati" dell'attuale partito di estrema destra tedesco Npd un branco di mocciosi? Il punto del libro è proprio questo: la democrazia, purtroppo, non è un'entità eterna, né assiomatica o autosufficiente.
Come ha scritto Gustavo Zagrebelsky in Contro l'etica della verità (Laterza), il suo ethos non si produce da sé. La democrazia deve sapersi rinnovare e difendere dalle derive autocratiche, perché una sua assuefazione può generare apatia quanto rigetto. Tanto che l'Hitler del romanzo ricorda compiaciuto come la sua «rivoluzione avvenne con un'elezione». Tanto che la catastrofe finale in Vermes viene annunciata dalla spaventosa frase «non era tutto sbagliato» - che potrebbe brutalmente ricordare «il fascismo qualcosa di buono ha fatto». Tanto che un'insospettabile signorotta tedesca, alla fine del libro, dice al Führer: «Lei sarà spaventoso.
Ma per lo meno non è noioso».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Antonello Guerrera
(Articolo uscito su Repubblica il 1 luglio 2012)

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