INEDITO. Spunta un colloquio privato del 2008 tra l'ex ambasciatore Usa e il Nobel 4 mesi prima della sua morte.Tra gli oltre 250mila file di Wikileaks, il fuggitivo Julian Assange potrebbe averci regalato l’ultima conversazione ufficiosa di Aleksandr Solgenitsin. In Occidente, le sue ultime confessioni erano arrivate grazie a Christian Neef e Matthias Schepp dello Spiegel nel 2007. Un’intervista da molti dichiarata “finale”, dove l’autore di Arcipelago Gulag annunciava il suo ritiro dalla letteratura attiva, dichiarava di non aver paura della (imminente) morte, dipingeva croce e delizie della Russia di Putin. Presidente che ha imparato ad amare col tempo, dopo alcune frizioni iniziali. Alle 7 e 07 di ieri, però, è spuntato il cable “confidential” 08Moscow932. Il file porta la data del 4 aprile 2008, la firma dell’allora ambasciatore americano a Mosca William J. Burns (posizione ricoperta fino al 12 maggio 2008, per poi diventare sottosegretario di Stato in patria) e allega anche un altro suo incontro privato con il patriarca ortodosso Kirill.
Non sappiamo la data esatta dell’incontro tra Solgenitsin e Burns. L’unico riferimento temporale è «di recente», quindi a ridosso del 4 aprile. L’ambasciatore dice di essersi recato a casa del premio Nobel nella sua casa fuori Mosca, dove morirà solo quattro mesi dopo, il 3 agosto 2008. Burns descrive Solgenitsin in cattivo stato di salute («braccio sinistro paralizzato, mano contorta»), ma intellettualmente attivo e lucidissimo («sveglio, dalla parlata chiara, sempre al lavoro negli archivi e aggiornato sugli eventi esterni»), seppur spesso ripreso dalla sempre attentissima e accorta moglie Natalia.
Solgenitsin conferma a Burns quanto dichiarato allo Spiegel l’anno prima su Putin. L’ex presidente, e futuro premier, è una benedizione rispetto a Gorbaciov e Ieltsin per riparare i danni di 70 anni di storia sovietica, nonostante problemi mai risolti - come il gap tra ricchi e poveri. E, aggiunge nel colloquio con l’ambasciatore, la gestione dei casi secessionisti. Alla luce della strage di Beslan, il Nobel critica «l’errore» di Putin di scegliere autonomamente i governatori locali e non farli eleggere dal popolo. Altro tema, quello della Cecenia, per il quale Solgenitsin è stato molto criticato - per aver prima invocato l’autonomia della regione e poi la pena di morte per i «terroristi» locali.
Quale governo ideale allora? Lo scrittore ribadisce il sogno di autogoverno delle masse e pone come esempio supremo di politica «le assemblee locali del Vermont (dove si era trasferito dopo l’esilio, ndr)», «l’essenza della democrazia». Ma lo sapeva anche lui che questa era solo utopia. E perciò Burns passa a chiedergli del neopresidente Medvedev. Un «bel giovane» anche se mai incontrato prima, dice Solgenitsin, ma sicuramente pronto a «riparare», anche lui, «i danni sovietici». E qui viene la parte più succosa. Perché Solgenitsin, nel citare i «crimini» dell’Urss contro la sua gente, vi include anche l’Holodomor, il famelico genocidio ucraino del ’32-33 la cui ricorrenza è caduta sabato scorso. Curioso, perché il 2 aprile, e quindi subito prima (o subito dopo) la conversazione con Burns, Solgenitsin, in un suo controverso articolo sul quotidiano Izvestia, ripudierà l’etichetta “genocidio” al massacro, scatenando un putiferio. Incredibile, ma anche lui verrà accusato di nazionalismo oscurantista.
Nella sesta e ultima parte del cable, Solgenitsin, che in passato aveva paragonato la Nato ad Hitler per la guerra dell’ex Jugoslavia, si scaglia contro l’indipendenza del Kosovo («perché i serbi dovrebbero pagare i peccati di Milosevic?»), nonché contro l’avvicinamento dell’Ucraina alla Nato («senza però approfondire la questione», scrive Burns). Insomma, grande madre Russia merita rispetto, sempre. Soprattutto quando Putin aveva offerto tutto il suo supporto all’America dopo la tragedia dell’11 settembre: «Quel suo gesto spontaneo dovrebbe essere pienamente ripagato» dagli Usa, sentenzia Solgenitsin.
di Antonello Guerrera
Il Riformista - 03/12/10
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