Londonderry

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Tuesday, December 21, 2010

Come vivere con 36mila dollari l'anno? I tormenti economici (e letterari) di Fsf


di Antonello Guerrera
Correva il giorno ventun dicembre 1940 quando il cuore di Francis Scott Key Fitzgerald ne ebbe abbastanza di battere. A settant’anni esatti dalla sua morte, avvenuta pochi anni prima della sua inseparabile e controversa “Southern belle” Zelda Sayre, Mattioli 1885 ha appena pubblicato Vivere con 36mila dollari all’anno. Una fulminea manciata di racconti e una riflessione critica - scorpacciabili in un pendolare viaggio di andata - pubblicati su Saturday Evening Post e The Bookman tra il 1920 e il 1926, nel pieno degli anni ruggenti poi falcidiati dalla Grande Depressione del ‘29.
Sono scritti molto interessanti perché mettono a fuoco il primo Fitzgerald, quello del trasparente autobiografismo, quello che con il successo con Di qua dal paradiso (pubblicato comunque non senza difficoltà) era subito asceso tra i giovani scrittori più travolgenti. Per poi essere considerato, in morte, una promessa bruciata. Anzi, «un dissipatore di grande talento», come lo definirà Dos Passos.
Un successo iniziale che incarnerà l’ossimoro dell’opera e della vita di Fitzgerald, «il più stupefacente, il più geniale e autodistruttivo dei ragazzi perduti» (Alfred Kazin dixit). Ovvero la bella maschera dell’America sopra i fantasmi di declino economico, sociale e morale che covano nelle viscere. Nei racconti, un po' farseschi, Come vivere con 36.000 dollari l’anno e Come vivere praticamente con niente di questo agile libretto lo scrittore, grazie ai suoi primi scritti, è diventato ricco e con la fresca moglie (Zelda) comincia a sguazzare nell'Età del Jazz, tra alcol, vizi, lussi e lazzi, dalle piscine giornaliere ai «giardini azzurri» e alle «voci piene di soldi» del Grande Gatsby che irromperà di lì a poco. Peccato però che i soldi comincino a essere pochi per le follie mondane della coppia. Ma del resto “perder tempo” ad accumulare denaro ha molti lati negativi, ci dirà sempre Gatsby. E così i due decidono prima di trasferirsi nel vertiginoso paradiso borghese dell'East Coast. Poi, visto che i piani di contenimento delle spese fanno acqua da tutte le parti, i Fitzgerald partono per la Riviera francese, famosa per il risibile costo della vita e già oasi di piacente atarassia per Dickens, Caterina de’ Medici e Wilde.
Ma le cose non vanno come previsto. In Vivere con 36mila dollari all’anno, l’involontaria ma lucida metafora della famiglia Fitzgerald e dell’America intera - come in tutta la bibliografia dello scrittore di St.Paul - comincia a baluginare nei flashback della figlia che vuole prendere la barca e tornare in America. Come le crisi economiche del terzo millennio hanno suggerito, i soldi sono un’illusione, la bancarotta è ineludibile e così Francis Scott comincia a scrivere a raffica per cercare di rimanere a galla e pagare i debiti. Ma il fondale è sempre più vicino. E la corrente è sempre contraria – ci dirà il decadente sipario del Grande Gatsby. Di sfondo una Francia pastello, altra metafora (seppur parziale) di quella Generazione perduta, esiliata e coniata nel garage di casa di Gertrude Stein - come cita Hemingway in Fiesta.
Vivere con 36mila dollari all’anno si chiude con altri due brevi scritti. Uno è Who Is Who, dove il già famoso Fitzgerald racconta la sua battaglia «tra l’impellente bisogno di scrivere e l’insieme delle circostanze che da sempre» hanno tentato di impedirgli di pubblicare Di qua dal paradiso. Infine, Come sprecare il materiale: una nota sulla mia generazione reca un affondo alla critica letteraria del tempo, cui ampi stralci potrebbero essere facilmente applicati a quella attuale. C’è una stucchevole «febbre letteraria» nell’America dei Venti, dove si rincorrono improbabili giovani talenti («mocciosi irrequieti», li chiama), il cui destino non è altro che sciogliersi nell’oblio: «Una letteratura già morta, quasi non fosse mai stata scritta», scrive Fitzgerald. Il tutto a scapito della ricerca della vera opera immortale. Si salva, in questo salatissimo calderone, il giovane Ernest Hemingway dei racconti di in our time, che incarna, secondo la profezia dell'autore di Tenera è la notte, una vera svolta per la letteratura americana. Fu proprio lui a lanciare e raccomandare lo scrittore de Il vecchio e il mare al suo editore e quindi alla storia della letteratura. Ma Hemingway non gliene fu molto grato, vedi Gli ultimi fuochi da lui bollati come «pancetta affumicata». Hemingway, nonostante tutto l'aiuto ricevuto, non sopportava quell’eccentrico alcolizzato dalla scrittura divina. Una volta, Fitzgerald lo costrinse addirittura alla misura comparata dei propri organi genitali, dopo che la moglie Zelda ne criticava costantemente le performance sessuali, accusandolo di latente omosessualità. Troppo per Ernest.

Da Il Riformista, 21/12/10

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