Londonderry

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Sunday, January 30, 2011

La Histoire di Barack "O", un ex sognatore nel 2012


A PRESIDENTIAL NOVEL. Un romanzo anonimo sul presidente degli Stati Uniti comincia a scaldare le prossime elezioni. È stanco, irritabile, vuole solo giocare a golf, si sente «castrato», sa che la retorica stavolta potrebbe non bastare. Fiction o triste realtà di un (ex) prodigio della politica? L’America spettegola. L’autore, «molto vicino a Obama», sarebbe un insospettabile: il ghost writer di John McCain.

di Antonello Guerrera

Chi sarà mai lo scrittore misterioso di O – A Presidential Novel, che ufficialmente fa di nome “Anonymous”? Se lo stanno chiedendo da giorni i principali commentatori e giornalisti americani che si sono visti recapitare a casa questo romanzo pseudodistopico sulle elezioni presidenziali del 2012 e sul lato oscuro della luna (calante) di Obama. Romanzo che dunque ha fatto scalpore prima della pubblicazione stessa da parte di Simon & Schuster (368 pp., $ 25,99), annunciato da una manciata di mail interlocutorie sul conto dell’opera e, ovviamente, dell’autore. Del tipo: «Non chiedete ulteriori informazioni a impiegati o collaboratori della S&S, è inutile». Oppure: «Chi conosce l’autore non risponda ad alcuna domanda di qualsivoglia giornalista». O ancora, l’unico, succulento indizio diffuso dalla casa editrice: «L’autore è stato legato allo staff della comunicazione del presidente Obama». Quindi una spia? Un epurato? Un ribelle?

Piccoli ma pesanti (e furbeschi) sassolini sufficienti ad agitare lo stagno politico-letterario d’America, già avvezzo, tuttavia, a scherzi del genere. Così, il primo indiziato contro il quale è stato puntato il dito dei giornalisti-scommettitori è stato l’editorialista americano Joe Klein, che già nel 1996 – ed era sempre gennaio – aveva pubblicato True Colours. Un romanzo a chiave - come ci diceva la maestra a scuola - sulla campagna presidenziale del 1992 e tutte le marachelle dell’ex inquilino democratico alla Casa Bianca Bill Clinton. Un'opera tra fiction e realtà, figlio del New Journalism (stavolta l’eliotiano New Criticism c’entra poco), che tuttavia aveva già avuto un illustrissimo precedente, seppur non anonimo. E cioè quel Tutti gli uomini del re del pluripremio Pulitzer Robert Penn Warren, pubblicato in patria nel 1946 con protagonista il populista “di sinistra” del profondo Sud Willie Stark, profondamente ispirato al demagogo governatore della Louisiana Huey Long, assassinato nel 1935.

Ma Klein ha subito respinto le illazioni. E sinceramente perseverare sarebbe stato, se non diabolico, quantomeno ridicolo. Allora i bookmaker si sono scatenati prima su alcuni vicinissimi a Obama come Rahm Emanuel e David Plouffe, poi sui giornalisti Richard Wolffe (ex Newsweek), Lawrence O’Donnell (Msnbc) o addirittura un certo James Bruno per via dell’omonimia di un “aide” sfigatello di nome Walter Lafontaine, personaggio presente e nel suo Permanent Interests del 2006 e in O dell’Anonimo, come vedremo in seguito.

L’ultima indiscrezione (è dell’altroieri), che però Time considera ormai provata dalle sue talpe che avrebbero fatto breccia nel muro omertoso di Simon & Schuster, è quella di Mark Salter. Un collaboratore di John McCain di lunga data, anche alle elezioni del 2008: cinquantacinque anni, vive con la famiglia ad Alexandria (Virginia) nei mesi freddi, nel Maine in estate. Si guadagna da vivere facendo il ghost writer per i repubblicani, ma non solo. I motivi del suo accostamento al misterioso demiurgo di O sono vari. Dopo il lancio di Time, il pungente sito d’informazione Politico – che pure con Salter aveva avuto più di qualche incomprensione in precedenza – ha individuato la «prova» nello stile di O, dopo averlo ovviamente comparato con le pubblicazioni precedenti del senatore dell'Arizona scritte a quattro mani con Salter, tra cui il bestseller autobiografico Faith Of My Fathers.

Non solo. Lo stesso Salter, dopo le elezioni perdute da John McCain, aveva dichiarato a mezzo stampa che avrebbe sprecato meno energie per il ghostwriting, dedicandosi così alla fiction. Il risultato dei suoi sforzi romanzeschi, tuttavia, non è mai venuto alla luce, almeno ufficialmente. Anzi, Salter tempo fa ha pubblicamente ammesso la sua sconfitta. Ma c’è chi giura che quell’annuncio fosse un semplice depistaggio per allontanare i più curiosi. Lui, contattato dai media americani nicchia e si trincea dietro un «no comment», spesso condito da un più inacidito «pensate ad altro invece che a me».

Del resto, qualora fosse Salter il vero autore di O, svelare adesso l'arcano non sarebbe stato certamente furbo, né conveniente, visto il “buzz” e il passaparola che l’intelligente trappola commerciale di Simon & Schuster ha scatenato. Trappola nella quale sono caduti molti critici, tra cui la tremenda e temutissima nippo-americana del New York Times Michiko Kakutani (colei che Norman Mailer gentilmente ribattezzò «kamikaze» dopo una stroncatura), che ne ha scritto prima di tutti – distruggendolo a gogò, ovviamente. Il libro, c’è da dire, non ha ancora fatto breccia tra i lettori – sino a ieri era a trecentesimo posto inoltrato secondo le estemporanee classifiche di Amazon. Ma ha coinvolto molto, per alcuni troppo, gli addetti ai lavori. Perché?

O – A Presidential Novel, innanzitutto, è il primo vero “romanzo politico” dell’era Obama, con un occhio ciclopico sulle prossime elezioni del 2012, che i risultati del midterm hanno reso uno spauracchio per l'attuale Amministrazione. Il libro prova a tracciare – seppur con una certa cautela - gli scenari futuri che attendono la sfida tra asinello ed elefantino. Ma soprattutto, dipinge un ritratto del primo presidente afroamericano della storia Usa ben diverso dall’eccelso predicatore di sogni che sinora abbiamo conosciuto. Ecco perché, l’unico sagace indizio di Simon & Schuster è stato quello di annunciare l’autore come un insider vicinissimo a Obama. La conferma di Salter, in questo senso, ne inficerebbe, e non poco, le premesse-bomba.

Il titolo, inoltre, non poteva essere una scelta migliore. Sebbene in chimica sia elemento di ampio respiro, la “O”, nella letteratura mondiale, ha spesso rappresentato un enigma, un aspirante samizdat, spesso erotico, e comunque misterioso. Senza scomodare Ornella Vanoni o O come Otello di Tim Blake Nelson, La marchesa di O. di Heinrich Von Kleist potrebbe essere un buon esempio a tal proposito. Ma ancora più calzante è il romanzo erotico Histoire d’O pubblicato nel 1954 dalla francese Pauline Réage, misterioso pseudonimo di Dominique Aury, a sua volta pseudonimo di Anne Desclos. Tra l'altro, “The O.” è stato anche un movimento politico (e violento) maoista nell’America degli anni Settanta. Giusto per dare l'immancabile eco alle cassandre socialiste e comuniste che i nemici di Barack Obama fanno spesso risuonare.

Ad ogni modo, Obama in O è un personaggio più che insipido, egocentrico, a tratti inaffidabile, anche se mascherato dietro l’(in)utile pseudonimo di “O”, appunto. Ma è una schermatura sottilissima, trasparente. Perché O, nonostante si legga dall’introduzione che «il riferimento a fatti e persone sia da ritenersi puramente casuale», è palesemente Barack Obama: trattasi di un presidente nero, con una moglie avvenente e due figlie, accusato di essere “musulmano” e così via. “O” però, dopo le elezioni di mid term, è stanco, terribilmente esausto. Sa che il suo “change” non ha cambiato più di tanto l’America, sa che i sondaggi, anche se li nega persino con i suoi advisor, sono tutt'altro che favorevoli, sa che la fortuna è una ruota e che «le più grandi sconfitte arrivano quando ci si crede fortunati». Così O pensa solo a giocare a golf: «Cristo, cosa avrebbe dato per avere qualche ora senza scocciature per fare qualche colpo. (…)», si legge. «I Ceo possono giocare a golf. I generali possono giocare a golf. I membri del Congresso possono giocare a golf ogni cavolo di weekend. Ma se il Presidente si fa una partita nel fine settimana (…), la stampa lo dipinge come un pazzo in un servizio trasmesso subito dopo uno sull'Afghanistan», si lamenta.

È un Obama “O” decisamente in dirittura di arrivo quello che l’Anonimo, tra molta fiction e chissà quanta realtà, descrive. Svogliato e irritabile, minacciato anche da un paio di scandali poco nobili (uno, più laterale, è di stampo sessuale) con sempre meno fiducia nei suoi collaboratori – tanto che alla vigilia delle elezioni del 2012 si scriverà i discorsi da solo. O sbotta anche per le critiche mediatiche di una storica (e vera) foto del 2009 che lo vede rapito dal lato B di una fanciulla: «Gesù mio, cosa volete, che questo cazzo di lavoro mi castri pure?», si lagna. Battuta tra l’altro neanche nuovissima, in quanto già riferita, ma questo successe nella vita reale, da un altro Presidente, ossia quel Grover Cleveland che nel 1884 rispose più o meno per le stesse rime ai repubblicani che gli rinfacciavano un figlio fuori dal matrimonio: «Cosa preferivate, un eunuco?», sbraitò l'ex Presidente.

Tuttavia, O non è neanche il vero protagonista del romanzo, posto occupato invece dallo staff della comunicazione del Presidente, alle prese con una rielezione tutt'altro che facile. Un altro interessante aspetto dell'opera per i non addetti ai lavori. Ma certo gli occhi del lettore si spostano sul fantomatico (o meno, chi lo sa?) Obama. Che nel 2012 dovrà sfidare il temibilissimo repubblicano Tom Morrison. Un politico in ascesa, che ricorda un po’ McCain per il record militare, un po’ Romney per la moralità, ma anche, e forse soprattutto, l’emergente Marco Rubio. La Palin, che qui si chiama “Barracuda”, nonostante sia un idolo dei Tea Party, non la spunta e O se ne dispiace perché sa che sarebbe stato un avversario molto più debole.

E invece, gli tocca Morrison. E così O capisce che la retorica non è tutto in politica, che dalle finestre della Casa Bianca non è riuscito a capire cosa stesse succedendo all’America e che, oramai, è sempre più solo. Tra le righe, il vero simbolo del divorzio tra Obama e l’America, seppur la narrazione si fermi alla vigilia delle elezioni 2012, è il rapporto con un vecchio, ma giovane, collaboratore abbandonato. Quel Walter Lafontaine che O aveva scaricato nella sua scalata verso il potere e che ora, nonostante il presidente lo rivoglia nel suo staff, declina gentilmente tutte le sue offerte. Simbolo di un matrimonio oramai incartapecorito tra Barack e gli Stati Uniti, almeno stando all'Anonimo. Non a caso il libro si chiude con due parole sintomatiche: “discontented dreamers”, “sognatori delusi”. Nel 2012 i bambini americani, e pure i più grandicelli, non fanno più “O”.

Da Il Riformista, 30/01/11

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