A fair intriguing book I reviewed for "Il Riformista"...
La città degli angeli è abitata da demoni
BUONGIORNO LOS ANGELES. Frey, dopo il successo di "In un milione di piccoli pezzi", frantuma il sogno americano nella capitale di celluloide.
di Antonello Guerrera
Altro che città degli angeli. Se qualcuno è in procinto di partire per Los Angeles, non legga l'ultimo libro (e primo romanzo) dell'americano James Frey Buongiorno Los Angeles (ed. Tea, 555 pagg., euro 16,60). Perché Frey, conosciuto in Italia già per il controverso esordio di In un milione di piccoli pezzi, descrive con crudeltà l'altra faccia di L.A. Non quella di Hollywood, Bel-Air, Beverly Hills e via dicendo. Bensì quella dietro l'angolo ipocrita della società americana: tra stupri giornalieri, tossici allo sbando, bande animalesche, alcolizzati invisibili, easy rider sanguinari, viscidissimi agenti dello spettacolo, ghetti pestilenti, crateri razziali, aria fetente di fritto dei fast food e uno star system corrotto sin dalle viscere familiari. Una città letteralmente incancrenita. E le parti sane (se mai vi fossero, Frey non le descrive) possono solo sperare che il male si contenga.
Frey intaglia una Los Angeles da pelle d'oca, perimetrata da una scrittura quasi maniacale. Nel plot sfilano innumerevoli nomi di strade altisonanti, di highway traditrici, di quartieri invivibili, borghesucci e «vvvip», di eventi-curiosità storici (lo sapete che il fondatore della gloriosa United Artists fu il fanatico kukluxklaniano D. W. Griffith?), di ricorrenti catastrofi naturali, eccetera. Sul piano dell'immedesimazione del lettore non siamo alla Dublino incomparabilmente tornita da Joyce (paragone a cui si è spinto un po' impavidamente il Washington Post). Ma certo nella descrizione dello scenario ci si avvicina, e di molto, ai grandi ispettori di Los Angeles. Non tanto a quella del Marlowe di Chandler, che forse così in ginocchio non è, quanto a quella minacciosa e dannata del Bosch di Michael Connelly. Frey dissacra tutti i luoghi comuni della città degli angeli, persino le autostrade, accarezzate da riferimenti byroniani, ma sporche da far schifo, intorbidite da traffico e sudore, un rifugio notturno per teenager bruciati e, soprattutto, «una colossale rottura di coglioni».
E poi Frey polverizza il sogno americano, scomodissima fiaba contemporanea in una Los Angeles così stracolma di umani che, secondo l'autore, il traffico stradale in due decenni sarà totalmente paralizzato (tanto per dirne una). In questa megalopoli allo sfascio si intrecciano le odissee di svariati personaggi. Tra attricette, pornostar, artisti, surfisti, musicisti (tutti frustrati o dannati "in aeterno", con morale e/o verginità a pezzi), lo scrittore ne plasma essenzialmente quattro: due ragazzotti bianchi dall'Ohio in fuga da genitori psicopatici; una famiglia messicana che fa nascere la figlia Esperanza (nomen omen irrinunciabile) sul suolo americano per poter rimanere negli States; il barbone Old Man Joe che vive nel cesso di un chiosco; la star di Hollywood Amberton che dimora con una moglie lesbica, tre figli nati in provetta e un'irrefrenabile omosessualità. Tutti pagheranno a caro prezzo i loro sogni. Ma, almeno, non mancheranno piccoli, struggenti premi di consolazione.
Curioso notare che l'incipit di Buongiorno Los Angeles è «Niente in questo libro va considerato esatto o affidabile», nonostante Frey citi per le mutilazioni sociali losangeliane dati e statistiche apparentemente veritieri. In realtà il problema viene da più lontano. E cioè, dal suo esordio del 2003 con In un milione di piccoli pezzi, resoconto autobiografico alle prese con gli irriducibili fantasmi di alcol e droga. Nella circostanza, il sito The Smoking Gun smontò diverse ricostruzioni dell'opera di Frey, provandole come fittizie. Ad ogni modo, l'autore ne è uscito complessivamente bene e starebbe già lavorando al prossimo lavoro: un Terzo Testamento biblico con Gesù Cristo coinquilino di prostitute ed omosessuali. Vedremo. Intanto godiamoci Buongiorno Los Angeles. Per il quale Frey è stato pubblicamente idolatrato da Irvine Welsh e le cui quasi seicento pagine sono piacevolmente divorabili in una manciata di ore. Frey è un affascinante cantastorie contemporaneo. Che sprizzi fandonie o meno.
Antonello Guerrera
Frey intaglia una Los Angeles da pelle d'oca, perimetrata da una scrittura quasi maniacale. Nel plot sfilano innumerevoli nomi di strade altisonanti, di highway traditrici, di quartieri invivibili, borghesucci e «vvvip», di eventi-curiosità storici (lo sapete che il fondatore della gloriosa United Artists fu il fanatico kukluxklaniano D. W. Griffith?), di ricorrenti catastrofi naturali, eccetera. Sul piano dell'immedesimazione del lettore non siamo alla Dublino incomparabilmente tornita da Joyce (paragone a cui si è spinto un po' impavidamente il Washington Post). Ma certo nella descrizione dello scenario ci si avvicina, e di molto, ai grandi ispettori di Los Angeles. Non tanto a quella del Marlowe di Chandler, che forse così in ginocchio non è, quanto a quella minacciosa e dannata del Bosch di Michael Connelly. Frey dissacra tutti i luoghi comuni della città degli angeli, persino le autostrade, accarezzate da riferimenti byroniani, ma sporche da far schifo, intorbidite da traffico e sudore, un rifugio notturno per teenager bruciati e, soprattutto, «una colossale rottura di coglioni».
E poi Frey polverizza il sogno americano, scomodissima fiaba contemporanea in una Los Angeles così stracolma di umani che, secondo l'autore, il traffico stradale in due decenni sarà totalmente paralizzato (tanto per dirne una). In questa megalopoli allo sfascio si intrecciano le odissee di svariati personaggi. Tra attricette, pornostar, artisti, surfisti, musicisti (tutti frustrati o dannati "in aeterno", con morale e/o verginità a pezzi), lo scrittore ne plasma essenzialmente quattro: due ragazzotti bianchi dall'Ohio in fuga da genitori psicopatici; una famiglia messicana che fa nascere la figlia Esperanza (nomen omen irrinunciabile) sul suolo americano per poter rimanere negli States; il barbone Old Man Joe che vive nel cesso di un chiosco; la star di Hollywood Amberton che dimora con una moglie lesbica, tre figli nati in provetta e un'irrefrenabile omosessualità. Tutti pagheranno a caro prezzo i loro sogni. Ma, almeno, non mancheranno piccoli, struggenti premi di consolazione.
Curioso notare che l'incipit di Buongiorno Los Angeles è «Niente in questo libro va considerato esatto o affidabile», nonostante Frey citi per le mutilazioni sociali losangeliane dati e statistiche apparentemente veritieri. In realtà il problema viene da più lontano. E cioè, dal suo esordio del 2003 con In un milione di piccoli pezzi, resoconto autobiografico alle prese con gli irriducibili fantasmi di alcol e droga. Nella circostanza, il sito The Smoking Gun smontò diverse ricostruzioni dell'opera di Frey, provandole come fittizie. Ad ogni modo, l'autore ne è uscito complessivamente bene e starebbe già lavorando al prossimo lavoro: un Terzo Testamento biblico con Gesù Cristo coinquilino di prostitute ed omosessuali. Vedremo. Intanto godiamoci Buongiorno Los Angeles. Per il quale Frey è stato pubblicamente idolatrato da Irvine Welsh e le cui quasi seicento pagine sono piacevolmente divorabili in una manciata di ore. Frey è un affascinante cantastorie contemporaneo. Che sprizzi fandonie o meno.
Antonello Guerrera
Buongiorno Los Angeles
James Frey
Tea, 555 pp., euro 16,60
James Frey
Tea, 555 pp., euro 16,60
From "Il Riformista", 09/05/09
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